Il complesso monastico di Camaldoli, Sacro Eremo e Monastero, venne fondato da san Romualdo di Ravenna intorno al 1012, poco sotto il crinale dell’Appennino Tosco-Romagnolo, che si affaccia sulla vallata del Casentino. Il Santo ravennate unì in un’unica esperienza vita eremitica e cenobitica. Secondo il racconto della fondazione, riportato da Rodolfo I nelle Costituzioni del 1080, Romualdo diede ai primi abitanti dell’eremo la sola regola di tacere, digiunare e stare in cella, mentre al monastero impose la regola di san Benedetto, per preparare i novizi alla più severa vita in solitudine.

Il monastero di Camaldoli, edificato 3 km sotto l’Eremo, anticamente prese il nome di Fontebuono dalla fonte che riforniva di acqua il complesso monastico e l’ospedale, oggi foresteria. Rodolfo II nelle Regola della vita eremitica del XII sec., scrive che a Camaldoli l’accoglienza al monastero doveva essere osservata in ogni modo, come manifestazione dell’amore che gli eremiti nutrivano per ogni uomo, alimentato dalla ricerca di Cristo.

La data di fondazione

Il 1012, indicato tradizionalmente come l’anno di fondazione del Sacro Eremo di Camaldoli, compare per la prima volta nella deposizione resa da Raniero, priore del monastero camaldolese di San Michele di Arezzo, al processo di Perugia (1216-1220), durante il quale furono definiti i termini del giuspatronato del vescovo di Arezzo su Camaldoli.

Una seconda tradizione si fonda sul diploma concesso da Teodaldo, zio di Matilde di Canossa, vescovo di Arezzo dal 1023 al 1036, con il quale dona all’eremita Pietro e ai suoi confratelli la chiesa di san Salvatore a Camaldoli, già da lui consacrata su richiesta di san Romualdo nel 1027. Tali avvenimenti vennero fedelmente riportati nelle Costituzioni di Rodolfo I, priore generale dal 1074 al 1087.

È dunque ipotizzabile come data di fondazione del Sacro Eremo di Camaldoli un periodo compreso tra il 1023, anno in cui salì sulla cattedra di Arezzo Teodaldo, e il 1026, l’anno precedente alla consacrazione della chiesa dell’Eremo.

 

Il toponimo Camaldoli

 

Rimane tuttora incerta l’etimologia del toponimo Camaldoli, con il quale veniva  indicato nei primi documenti il terreno sul quale Romualdo e i cinque discepoli edificarono il Sacro Eremo.

Nel diploma di Tedoaldo del 1027 si legge che la chiesa, consacrata su richiesta di Romualdo al Santo Salvatore, è sita in loco qui dicitur Campo Malduli, e cioè il campo di Maldolo. La derivazione del toponimo Camaldoli da campo di Maldolo diede vita alla tradizione agiografica del terreno donato dal conte Maldolo a Romualdo, e la concessione del suo castello o dimora per la caccia dove venne costruito il monastero di Fontebuono, oggi identificato con il toponimo Camaldoli.

Una seconda tradizione è attestata nella bolla di Alessandro II del 29 ottobre del 1072, con la quale prende sotto la tutela dell’autorità apostolica l’oratorio di San Salvatore e l’ospizio di Fontebuono con le sue corti. In quest’occasione parla di Campus Amabilis, un campo amabile alla vista.

Unisce queste due tradizioni il Libro della regola eremitica di Rodolfo II, priore generale dal 1158 al 1165, il quale parla sia della donazione del conte Maldolo a san Romualdo, che del luogo come un campo ameno.

 

Lo sviluppo della congregazione Camaldolese:

 

Sant’Apollinare in Calasse che i Camaldolesi lasciarono per costruire il grande monastero in Ravenna, in seguito ai disastri provocati dalla battaglia di Ravenna del 12 aprile 1512. San Michele in Borgo a Pisa dal sec. XII camaldolese. San Michele in Isola a Venezia fondato nel 1212. Santa Maria degli Angeli in Firenze fondato come eremo urbano nel 1295 per volontà testamentaria di Guittone d’Arezzo.

 

Le congregazioni camaldolesi

 

Dall’unica fondazione romualdina di Camaldoli lungo la storia presero vita cinque congregazioni camaldolesi: la cenobitica, detta di San Michele di Murano, e le eremitiche, di Toscana, di Monte Corona, di Piemonte e di Francia.

Con il nome di Eremiti di Toscana furono conosciuti, sino ai primi del ‘900, i monaci che abitavano il Sacro Eremo e Monastero di Camaldoli e poche altre dipendenze dell’Eremo.  Questa distinzione si rese necessaria dopo il capitolo di Fontebuono del 24 aprile 1474, quando i cenobi furono riuniti nella Congregazione di San Michele di Murano.  Solo nel 1935 con la bolla Inter religiosos coetus di Pio XI, i Cenobiti vennero nuovamente uniti agli Eremiti di Toscana.

Una terza congregazione nacque quando nel 1520 Paolo Giustinian, Maggiore del Sacro Eremo, desiderando condurre una vita più solitaria e più austera, si ritirò nell’eremo di Monte Corona, presso Perugia. Poco tempo dopo Leone X concesse a Giustiniani di fondare altri eremi e nel 1524 Clemente VII riconobbe formalmente la Compagnia degli eremiti di San Romualdo, resa pienamente autonomia da Camaldoli il 7 maggio 1529.

La congregazione di Piemonte nacque come fondazione del Sacro Eremo di Camaldoli ad opera del beato Alessandro Ceva, d’origine piemontese e confessore del duca Carlo Emanuele I (1562-1630), il quale in ringraziamento per la cessazione della peste del 1599, volle far edificare sulle colline di Torino nel 1602 l’eremo dedicato al Santo Salvatore.

Gli Eremiti camaldolesi di Francia, denominata della Madonna della Consolazione, iniziò con Bonifacio Antonio da Lione, il quale partito dall’eremo di Torino per la Francia, fondò nel 1626 due eremi: Nôtre Dame de Sapet nella diocesi di Vienne, e Nôtre Dame de la Consolation  de Bouthéon nella diocesi di Lione.

La congregazione degli Eremiti camaldolesi di Piemonte come quella di Francia non sopravvisse alle soppressioni del sec. XIX.

A queste cinque congregazioni vanno aggiunte le fondazioni di monasteri femminili camaldolesi. La prima comunità fu fondata dal beato Rodolfo I nel 1086 a San Pietro a Luco di Mugello (FI).

La foresta tra uso consapevole delle risorse naturali e spiritualità eremitica

 

La foresta di Camaldoli, oggi inserita nel Parco Nazionale delle Foreste casentinesi , deve la sua esistenza alla cura che ne ebbero i monaci dal Medioevo sino alle soppressioni delle corporazioni religiose nel sec. XIX.

 

L’uso consapevole delle risorse naturali

 

La prima grande trasformazione del territorio venne operata dai monaci bianchi che sostituirono la faggeta autoctona con una abetina, per sfruttarne il legname da costruzione e produrre nella Spezieria sottostante, oggi Antica Farmacia di Camaldoli, la Lacrima d’abeto, liquore medicamentoso, la cui prima testimonianza risale al 1460. Questo ha fatto si che Camaldoli si dotasse di un vero e proprio Codice forestale per la tutela della Foresta, poi messo in stampa nelle costituzioni del 1520 di Paolo Giustinian. Nelle costituzione della vita eremitica Paolo Giustinian, Maggiore del Sacro Eremo, disciplina il taglio delle piante e istituisce la figura di un monaco dedicato alla sola cura della Foresta. Viene anche proibito il taglio della Corona di abeti che circondano il Sacro Eremo, posti, come difesa naturale, a protezione del ritiro eremitico.

forestaLa Foresta nella spiritualità eremitica

Impegnato nella stesura dell’inserto dedicato a san Romualdo nel trattato sulla vita solitaria, l’umanista Francesco Petrarca scrivendo al priore di Camaldoli Giovanni Abbarbagliati, descrive la foresta come un’impenetrabile scudo che protegge la solitudine degli eremiti dal rumore del mondo circostante, impegnati a scalare le vette della contemplazione, allo stesso modo che gli alti abeti, sempre protesi verso il cielo. Nel racconto della fondazione dell’Eremo di Camaldoli, tramandato da Rodolfo II, si attribuisce a san Romualdo la visione di monaci che salivano al cielo per una scala. Sul luogo dove per tradizione si dice che san Romualdo ebbe questa visione in sogno, ispirata alla scala di Giacobbe, nel sec. XVI venne edificato un oratorio chiamato Cappella della visione.

Nella tradizione spirituale camaldolese, a partire dalla costituzioni di Rodolfo II del sec. XII, gli alberi vennero assunti per simboleggiare le virtù degli eremiti. Oggi il testo di Rodolfo II è riportato negli specchi delle formelle del portone d’ingresso al Sacro Eremo, realizzato dal maestro Claudio Parmiggiani in occasione del Millenario di Camaldoli.

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